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Il monastero cistercense di Corazzo

  • Immagine del redattore: samueleanastasio
    samueleanastasio
  • 12 mar 2018
  • Tempo di lettura: 4 min



I ritmi vorticosi e frenetici della società moderna ci fanno spesso dimenticare dei luoghi che in passato sono stati importanti e fondamentali per lo sviluppo della nostra terra. Questi posti spesso sono dimenticati da tutti, e con l’inesorabile scorrere del tempo rischiano di scomparire definitivamente. Il nostro unico modo per mantenerli in vita è cercare il più possibile di valorizzarli, avvicinando i ragazzi e i più piccoli a questi siti ricchi di storia.

In una valletta apparentemente remota, tra i fiumi Amato e Corace (decantati anche in tempi antichi da Strabone e Plinio il Vecchio) sorge l’abbazia di Santa Maria di #Corazzo. Cornelio Pelusio Parisio, monaco e presidente della congregazione dei cistercensi di Calabria e Basilacata (1586-1605), così scriveva nella sua relazione su Corazzo: «Abbatia quae dicitut sancta Maria de Coratio est in diocesi Marturanensi prope oppidum quod dicitur Scilianum, ad millia passuum fere sex, in montaneis prope flumen quod habet nomen Coraceum». Il fiume Corace (latino Corax) che sfocia presso le marine di Squillace, dove si erge la maestosa basilica normanna di Santa Maria della Roccella, è stato un bacino importante e fondamentale per la storia dell’Abbazia.


Il monastero fu fondato nel 1060, durante il progetto di rilatinizzazione territoriale, ad opera di Roberto il Guiscardo (trattato di Melfi del 1059). Nel 1157, secondo lo studioso tedesco Paul Fridolin Kehr, da benedettina l’abbazia divenne cistercense e nel 1188 ottenne l’affiliazione a Fossanova.


Nonostante l’alternarsi di alti e bassi nella sua situazione economica tra il XIV e il XVI secolo, l’abbazia divenne un centro di snodo e di controllo importante per tutto il territorio. A livello architettonico essa rispecchiava tutti i dettami artistici fedeli a ciò che aveva scritto Bernardo di Clairvaux (Plan Bernardin) riguardo la creazione dei “luoghi” abbaziali. Ovviamente, come spesso è accaduto in diverse abbazie, anche a Corazzo troviamo delle caratterizzazioni architettoniche indigene. Costruita con pietra locale e laterizi rosseggianti, la chiesa è orientata con la zona sacra ad est e l’ingresso ad ovest; in posizione elevata rispetto al resto del monastero faceva da riparo all’area in cui vivevano i monaci. La navata è unica, sulla quale si aprono due coppie di cappelle e una coppia di ambienti minori interclusi fra esse. Nella sua parte settentrionale è ancora visibile la “porta dei morti” che immetteva nel cimitero monastico.


A partire dal XVII secolo, l’abbazia di Santa Maria di Corazzo iniziò a decadere per diversi motivi: l’introduzione della commenda (pratica di assegnare una carica o un beneficio, vacanti, al titolare di un altro beneficio); due orrendi e distruttivi terremoti che si abbatterono sull’abbazia, prima nel 1638 e poi nel 1783; il decreto di Gioacchino Murat del 1807, con il quale tutti i possedimenti di Corazzo furono ufficialmente aggregati al demanio pubblico.

Personaggi illustri hanno visitato e soggiornato a lungo nell’abbazia. Nel 1171 Gioacchino da Fiore visitò i luoghi di Corazzo e poi, quando successivamente ne divenne abate, i privilegi e le donazioni verso il monastero aumentarono in maniera esponenziale. Basti pensare alla bolla papale di Onorio II del 1130, i privilegi di Costanza d’Altavilla (copia del documento si trova nella sala delle pergamene del Comune di Bianchi), i privilegi di Alessandro III del 1177, le donazioni di Federico II del 1215 e del 1225, la bolla papale di Onorio III del 1218 e la bolla di Gregorio IX del 1230 con la quale il papa sottolineava come chi avesse osato toccare o modificare i privilegi e le donazioni di Corazzo sarebbe stato scomunicato per sempre.


Bernardino Telesio «il primo degli uomini nuovi», antiaristotelico e grande filosofo naturalista, fu ospite dell’abbazia di Corazzo dal 1561 al 1564. E fu grazie a questi appoggi ecclesiastici che egli poté finire i suoi studi e completare la sua monumentale opera, il De rerum natura iuxta propria principia.

Oggi il monastero vive nel ricordo e nelle storie raccontate dalla gente, ma anche in tutti quei beni che furono spoliati, smantellati e che attualmente si trovano in diverse chiese sparse nel territorio circostante.

Intorno agli anni ’90 furono stanziati dal comune di Carlopoli alcuni finanziamenti per un “risanamento conservativo dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo”. Negli stessi anni fu effettuata una prima analisi archeologica grazie alla British School at Rome, in collaborazione con alcuni ragazzi del luogo. All’epoca furono effettuati brevi sondaggi nel terreno, più precisamente delle trincee (metodo di scavo che consiste nel tagliare l’area indagata con una buca di circa 8 piedi), in zone mirate del monastero. Le trincee fornirono dei dati archeologici sufficienti a confermare la cronologia, cioè le diverse fasi di frequentazione, e creare una sequenza stratigrafica che servisse da guida per eventuali scavi successivi. Sono stati così rinvenuti diversi materiali ceramici medievali, rinascimentali e barocchi; inoltre grazie a tali resti ceramici sono state distinte le fasi normanne, cistercensi e tardo medievali.


Del monastero di Corazzo, di cui oggi rimangono dei ruderi, si è detto e scritto tanto e associazioni del luogo hanno tentato di recuperare l’area in cui sorge il convento. Manca, però, una vera e propria fruizione del bene: servirebbero delle strutture adeguate per ospitare gruppi di persone e poter così far rivivere e ridare dignità ad un luogo importante che è stato sacro, silenzioso e mistico.

 
 
 

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